Bernardo Leighton, democristiano e antifascista

Cinquanta anni fa l’attentato a Roma per uccidere il politico cileno in esilio

Cinquanta anni fa l’Italia fu in prima linea nella solidarietà internazionale alla resistenza democratica contro la feroce dittatura di Pinochet in Cile, iniziata due anni prima con il cruento golpe dell’11 settembre del 1973 che costò la vita al Presidente Allende.

Una solidarietà che oggi definiremmo trasversale perché mobilitò organizzazioni e partiti politici sia della maggioranza di governo che dell’opposizione; socialisti, comunisti e la stessa Democrazia Cristiana, perno di tutti i governi italiani del dopoguerra.

Un tragico episodio contribuì in maniera particolare a rendere esplicito questo comune sentire di forze politiche diverse, che in nome dei comuni valori antifascisti alla base della lotta partigiana e della nostra Costituzione si ritrovarono uniti anche nelle piazze a difesa della democrazia cilena.

Il 6 ottobre del 1975 a Roma, presso la sua abitazione in Via Aurelia, alcune pallottole di grosso calibro vennero sparate da due sicari contro l’esponente della Democrazia Cristiana del Cile Bernardo Leighton; i proiettili attraversarono il corpo di Leighton, che rimase ferito gravemente, e si conficcarono su quello della moglie Anita Fresno che non morì ma rimase anch’essa gravemente ferita.

Il politico cileno era uno degli esponenti del partito della Democrazia Cristiana che, dopo il colpo di Stato avevano condannato duramente la dittatura di Pinochet; nel 1973, pochi mesi dopo il golpe, venne in Italia su invito del deputato Gilberto Bonalumi. Tenne alcune conferenze denunciando i crimini del regime del suo Paese, che gli costarono il divieto di tornare in patria. Esiliato dal 1974 a Roma, Leighton si aggiunse così ai tanti esuli cileni che si rifugiarono all’estero per continuare la loro lotta per la democrazia e la libertà.

All’indomani dell’attentato fu organizzata a Roma una grande manifestazione unitaria che esprimeva in maniera plateale la vicinanza morale ai due feriti e lo sdegno per gli orrori commessi dalla dittatura di Pinochet; la colonna sonora di quella e di tante altre manifestazioni fu la musica degli “Inti Illimani”, che divennero un simbolo ed una bandiera per tutti coloro che scendevano in piazza per protestare non solo contro il regime di Pinochet ma contro tutte le dittature che in quegli anni terrorizzarono il continente latino-americano.

Un “filo nero” tra il fascismo italiano e l’estrema destra sudamericana è sempre esistito

La matrice di quell’attentato, come fu dimostrato negli anni a venire dai processi e soprattutto dal grande e coraggioso lavoro del magistrato Giovanni Salvi, era chiaramente riconducibile alla destra eversiva fascista; a tenere i rapporti con la DINA (la polizia segreta cilena) era Stefano delle Chiaie mentre a sparare fu Luigi Concutelli, entrambi militanti nelle organizzazioni paramilitari dell’estrema destra italiana. Un “filo-nero” che, come dimostrarono diverse inchieste dell’epoca nonché alcuni studi e pubblicazioni più recenti, non si è purtroppo mai spezzato. La destra nostalgica del fascismo italiano, che in Sudamerica si insediò all’indomani della caduta del regime grazie ad alcuni gerarchi fuggiti dall’Italia democratica, ha continuato nel corso dei decenni seguenti a mantenere forte il legame con l’Italia e ancora oggi questi legami possono riscontrarsi nella rinascita della cosiddetta “internazionale nera” che dall’Europa all’America Latina, passando per gli Stati Uniti, trova adepti e sostegni anche istituzionali tra i cultori della cultura autoritaria e illiberale che caratterizza i settori di una estrema destra sempre più forte e spregiudicata. Ricordare oggi quello che accadde mezzo secolo fa, quindi, non è soltanto un esercizio di memoria ma di democrazia.

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