Cosa vuole dire ‘sentirsi’ italiani, ‘essere’ italiani o meglio italo-brasiliani?

Recuperare la soggettività 

Frse inostri lettori non lo sanno ancora, ma anche loro stanno conducendo una lotta; sí, una battaglia per l’affermazione di un diritto: il diritto alla  multiculturalità. E’un diritto labile ma profondo, leggero ma forte. È il diritto di ribadire con orgoglio le proprie radici storiche e culturali, il mai spezzato legame con un Paese che il 2 giugno ha festeggiato i 61 anni dalla nascita della Repubblica, l’Italia.

Chi vive all’estero, sia che si tratti di un ‘espatriato’ – come una volta si definivano coloro che decidevano di emigrare – sia che si tratti di un figlio o nipote di italiani stabilitosi in un Paese allora straniero e poi diventato una seconda patria, vive le commemorazioni del mese di giugno con un sentimento del tutto diverso a quello dei nostri connazionali residenti in Italia.

Sembrerebbe una considerazione ovvia ma non lo è. Pensiamo ai giovani, per esempio. Alle centinaia di migliaia di giovani, discendenti di antenati a volte giunti qui in Brasile oltre un secolo fa; cosa vuole dire per loro oggi ‘sentirsi’ italiani, ‘essere’ italiani, o meglio italo-brasiliani?

La contro-retorica ufficiale, quella delle grandi firme del “Corriere della Sera” o di certa alta diplomazia vede con un certo fastidio, supponenza o superficialità il crescente diffondersi della riscoperta dei valori di ‘italianità’ all’estero; un fenomeno totalmente diverso rispetto a quello del passato, più legato alla nostalgica ricerca di un patriottismo nazionalista che non alla legittima valorizzazione di un patrimonio storico-culturale.

È vero, e non vogliamo né potremmo negarlo: spesso la richiesta del riconoscimento della cittadinanza per questi giovani discendenti è legata a motivazioni di carattere più strumentale, quali la facilità di viaggiare con ‘passaporto europeo’ negli Stati Uniti o negli stessi Paesi dell’UE; non si tratta però, nonostante il tentativo di fare credere il contrario, della principale leva che spinge l’interessato ad iniziare la non semplice trafila che conduce (o dovrebbe condurre) al fatidico traguardo della “cittadinanza italiana”.

La prima ‘molla’, quella che dà origine alla richiesta di un diritto che oggi vede circa mezzo milione di persone “in fila” da anni per ottenerlo (solo in Brasile) continua ad essere il riscatto delle proprie radici, il riannodare un nodo mai spezzato con quel viaggio che dal vecchio stivale portò tanti anni fa un genitore, un nonno o un bisnonno dall’altra parte dell’oceano Atlantico.

Si obietta che tali ‘nuovi cittadini’ poco o nulla sanno dell’Italia di oggi, che a malapena parlano o intendono la lingua di Dante e che per queste ragioni la concessione di questo diritto sarebbe quantomeno “generosa”. Può darsi, e su questo è giusto che il legislatore italiano faccia, come sta facendo, una opportuna riflessione per giungere in tempi brevi ad una riformulazione aggiornata e coordinata con gli altri Paesi dell’Unione Europea della delicata materia. Su due punti, a mio avviso, non bisogna però tergiversare: il primo è costituito dalla necessità di dare una risposta chiara ed onesta a quanti hanno già da tempo presentato presso i Consolati la propria domanda di riconoscimento di cittadinanza; non è giusto né ammissibile un’attesa di 15 o 20 anni per la  oncessione di un diritto costituzionale! Il secondo è l’attuazione l’ampliamento di tutte le politiche attive a sostegno degliitaliani nel mondo, e in primo luogo le misure volte a diffonderela nostra lingua e cultura e  d aumentare l’interscambio tra studenti e lavoratori attraversoappositi programmi.

Se si vuole dimostrare infatti che l’adeguamento della nostra legislazione sulla cittadinanzanon corrisponde ad una riduzione dell’interesse e della valorizzazione delle nostre comunità all’estero, con particolare riferimento alla giovani generazioni, occorrerà sempre più investire con costante determinazione eintelligenza in questa direzione.

Da Porto Alegre a Rio de Janeiro, da San Paolo a Belo Horizonte, il 2 giugno migliaia di italiani hanno iniziato a firmare un documento semplice, dieci righe, con le quali chiedono al Parlamento e al Governo l’applicazione di misure urgentie soluzioni concrete per rispondere in maniera seria e oggettivaalla vergognosa fila della cittadinanza.

“Per esercitare qualsiasi formadi diritto – ha scritto recentementeuna italiana che vive in Brasile, Bruna Peyrot – è necessarioavere alcune consapevolezze che fondano la Cittadinanza Interiore. Queste consapevolezze si giocanotra due termini che rappresentanodue tradizioni molto dense: il dominio del diritto e quello della soggettività”. Probabilmente Bruna non concorderàcon questo audace sillogismo, ma credo che la cittadinanza che migliaia di italodiscendenticercano all’estero non sai lontana da questo tipo di ideale; um diritto che si vorrebbe riconosciuto per recuperareuna soggettività che non si vorrebbepiù perdere.

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