Roma, 30 marzo 2011
In Senato, dopo una prolungata pausa di riflessione che sembrava preludere ad un responsabile ripensamento, è stata ripresa la discussione sulla legge di riorganizzazione degli istituti di rappresentanza (COMITES e CGIE) dei cittadini italiani residenti all’estero, e subito dopo rinviata in Commissione.
Nel ribadire la nostra posizione a favore della riforma di tali organismi, prendiamo atto che si presenta una nuova occasione per modificare in senso positivo un atto che, se adottato nel testo giunto in Aula, entrerebbe in collisione con l’orientamento della grande maggioranza del CGIE e della quasi totalità dei COMITES e accentuerebbe, in modo forse irreversibile, il distacco già evidente verso gli istituti di rappresentanza e le nostre collettività all’estero.
Nel momento in cui si assiste alla chiusura di diecine di consolati, in forza di quel “piano di razionalizzazione” la cui piena applicazione ancora qualche giorno fa il Sottosegretario Mantica ha ribadito, si rischia di ritagliare anche la rete della rappresentanza sul territorio diminuendo il numero dei COMITES e svuotandoli seriamente di funzioni.
Nello stesso tempo, di fronte alle pesanti incertezze relative al voto all’estero e all’annuncio che subito dopo il Federalismo si dovrebbe mettere mano al Senato delle Regioni, che comporterà una sostanziale modifica dell’assetto della rappresentanza parlamentare dei cittadini italiani all’estero, si decide praticamente di superare il CGIE come organismo di rappresentanza, nonostante il ruolo di mediazione degli interessi delle nostre comunità che esso ha storicamente assolto.
Un salto nel buio che si realizza in una fase di smantellamento dell’intervento pubblico per gli italiani all’estero, che va avanti da alcuni anni, e che per questo priverà le nostre comunità degli unici strumenti di difesa diretta di cui possono servirsi. Quello che non si capisce, o non si vuol capire, è che in questo modo si allenta il rapporto di partecipazione che si è già gravemente diluito e che la stessa presenza dell’Italia nel mondo ne subirà ripercussioni negative.
L’invito sereno e pressante che rivolgiamo ai colleghi del Senato è quello di riflettere in modo più approfondito su questa situazione e cercare di ricomporre con i rappresentanti reali delle nostre comunità una prospettiva condivisa. In sostanza, prima che sia troppo tardi, chiediamo non una rinuncia, ma un atto di responsabilità e di incontro di tutte le forze vive dell’emigrazione.
Bucchino, Di Biagio, Farina, Fedi, Garavini, Porta