Il Governo ha licenziato l’atteso disegno di legge costituzionale per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari e la revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione. I tempi delle proposte e la profondità delle soluzioni adottate sono del tutto in linea con le dichiarazioni programmatiche sulle quali il Parlamento ha dato la fiducia all’esecutivo guidato dal Presidente Renzi.
Per quanto ci riguarda, prendiamo positivamente atto di questo notevole impulso dato all’azione di Governo e ribadiamo il nostro consenso, espresso già con il voto, per una fase di riforme che possa rendere più snella ed efficiente l’organizzazione istituzionale e più incisivo l’impegno di rilancio del sistema Paese. In particolare, riteniamo che non sia più procrastinabile il superamento del bicameralismo paritario e la riduzione del numero dei parlamentari, sia per rendere più veloce ed efficiente il lavoro parlamentare che per contenere significativamente i costi della politica. Vogliamo ricordare che già ora il rapporto di rappresentanza degli eletti all’estero rispetto al numero degli elettori è tre volte più alto rispetto agli eletti in Italia e non per questo ci sentiamo meno rappresentativi rispetto ai nostri colleghi.
Nel disegno di legge sul superamento del bicameralismo paritario, com’è noto, vi è la conferma della Camera dei Deputati che rafforza le sue prerogative diventando la sede esclusiva nella quale si concede la fiducia al Governo e si approvano le leggi fondamentali dello Stato. Il Senato, invece, è trasformato in Senato delle Autonomie, composto dai rappresentanti delle Regioni e dei Comuni. Gli eletti nella circoscrizione Estero sono confermati alla Camera nell’attuale numero di 12 e aboliti, invece, al Senato. Il paventato svuotamento del potere di rappresentanza degli eletti all’estero non si è dunque concretizzato, dal momento che essi restano componenti di pieno diritto della Camera e, come tali, partecipano alle decisioni fondamentali della vita dello Stato. Come era stato richiesto – ci sia consentito questo atto di verità – da un documento della Direzione del maggior partito di governo, il PD, votato all’unanimità.
Ribadiamo il nostro accordo rispetto alla linea di indirizzo della riforma, compresa la trasformazione del Senato in Senato delle Autonomie. Siamo consapevoli, tuttavia, che soprattutto su quest’ultimo punto è aperto un dibattito che tra poco troverà la sua sede propria in Parlamento. Il nostro auspicio è che il confronto si svolga in modo costruttivo e con vera disponibilità all’ascolto reciproco. Vogliamo già dire, però, che la prevista esclusione dei rappresentanti dei cittadini italiani all’estero dal Senato riformato merita, a nostro avviso, un approfondimento e un supplemento di riflessione.
Se, com’è detto nel disegno di legge, il Senato delle Autonomie, oltre a rappresentare le istituzioni territoriali, “esercita le funzioni di raccordo tra lo Stato e le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni”, non si può sfuggire alla constatazione che le comunità degli italiani all’estero, sia pure caratterizzate da un rapporto del tutto peculiare con i territori, siano parti vive della più ampia comunità nazionale, meritevoli di avere, come tutte le altre, rappresentanza e raccordo con le istituzioni dello Stato. In più, sono decenni che tra le comunità si è sviluppata una rete di relazioni con le Regioni e con gli enti locali che ha dato buoni frutti per la promozione del Paese, e migliori ne potrà dare. Questo è accaduto in forza del fatto che le competenze sull’emigrazione sono state assegnate alle Regioni già nel corso degli anni Settanta, fin dal loro nascere. Non sarebbe giusto tornare indietro. Il nuovo Senato, inoltre, dovrà “partecipare alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi dell’Unione europea” e anche sotto questo profilo le comunità presenti soprattutto in Europa possono apportare un patrimonio di esperienza e di partecipazione molto importante.
Non si tratta, dunque, di una difesa corporativa, ma dell’esatto contrario, vale a dire dell’esigenza di far leva sulla rete globale degli italiani all’estero per lo sviluppo della società e della democrazia italiane.
Il nostro auspicio è che nel corso di questo impegnativo lavoro di riforma istituzionale tutti si convincano della giustezza e dell’opportunità della presenza dei rappresentanti degli italiani all’estero in tutti i più importanti livelli decisionali. Come nella fase costituente della vita democratica del Paese si pensò – giustamente – di dare forma ad un progetto di sviluppo sostanziale della società italiana, sia sul piano interno che internazionale, così oggi siamo chiamati a ridefinire la prospettiva di fondo della comunità nazionale per questo difficile presente e per il futuro. E in questa prospettiva gli italiani all’estero, di cittadinanza e di origine, non possono mancare, per il bene del Paese.
Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta