E’ da sostenere lo spostamento delle risorse verso gli investimenti, ma le previsioni di spesa per lingua e cultura, il sostegno ai Patronati e l’internazionalizzazione vanno cambiate
La legge di stabilità approdata in questi giorni alla Camera in prima lettura è costruita su un difficile equilibrio. Da un lato il rispetto dei vincoli europei, sempre stringenti, nonostante le sollecitazioni del nostro e di altri governi a imboccare con maggiore coraggio la via della ripresa e dello sviluppo. Dall’altro la necessità, diventata ormai drammatica, di riavviare il nostro sistema produttivo, evitando il quarto anno consecutivo di recessione, che avrebbe effetti difficilmente recuperabili sull’economia e sui livelli occupazionali.
La linea di marcia del Governo, quella di recuperare risorse da destinare agli investimenti dalla spesa ordinaria dello Stato e di Regioni ed enti locali, è comprensibile e sostanzialmente giusta. Non mancherà certo il nostro impegno nel perseguire l’obiettivo della ripresa e del rilancio. Tuttavia, la legge di stabilità, che rappresenta la base fondamentale dell’intervento dello Stato nel prossimo triennio, contiene anche l’indicazione delle risorse che debbono alimentare le politiche da adottare per raggiungere l’obiettivo di fondo e su alcune scelte francamente c’è da discutere. Ci riferiamo, naturalmente, alle politiche per gli italiani all’estero e, prima ancora, alle misure che possano rafforzare la proiezione dell’Italia in campo internazionale facendo leva sull’apporto che le nostre comunità possono obiettivamente dare.
La riduzione del 22% della dotazione per i corsi di lingua e cultura italiana all’estero promossi dalla Direzione per gli italiani all’estero, a cui si affianca il ridimensionamento di altre voci di spesa in materia culturale nell’ambito delle Direzione per la promozione del Sistema Paese, è sbagliata e insostenibile. Negli ultimi sei anni questa voce ha già subito tagli per il 75% ed ha toccato da tempo il limite di emersione. Si sono appena celebrati gli Stati generali della lingua italiana all’estero, organizzati dal MAE, che hanno sottolineato il valore strategico di questa risorsa per l’accreditamento dell’Italia nel mondo. E’ prioritario, dunque, in coerenza con la prospettiva delineata dal Governo per la ripresa del Paese, conservare quantomeno il livello di spesa consolidato in questo campo.
Un’altra potenziale lesione della condizione delle nostre comunità e della stessa credibilità del Paese è quella legata alla pesante riduzione del fondo per i Patronati. Il ruolo dei Patronati è riconosciuto dalla Costituzione e i fondi destinati al loro funzionamento vengono non dallo Stato ma dall’accantonamento dei contributi dei lavoratori. Al di là di queste pur serie ragioni giuridiche, vi è il fatto che queste organizzazioni, senza distinzione di sigle, hanno assunto con il tempo una funzione insostituibile di segretariato sociale, di cui soprattutto le fasce più deboli delle nostre comunità non possono fare a meno. Dopo la chiusura di consolati e COMITES e con la riduzione del personale amministrativo all’estero, essi sono l’unico presidio a cui i nostri concittadini possono ricorrere, soprattutto dopo la ripresa di intensi flussi in uscita dal Paese e l’intensificarsi delle “nuove mobilità”. L’Italia non ha alcun interesse ad indebolire i suoi rapporti con milioni di persone. La riduzione del fondo va dunque contenuta in limiti fisiologici e accettabili per non determinare danni irreversibili.
Un altro punto sul quale si evidenzia una stridente contraddizione tra obiettivi e scelte d’investimento è quello riguardante l’internazionalizzazione. Se il nostro Paese può ancora sperare di uscire dalla stagnazione in cui si trova da alcuni anni è perché il Made in Italy è riuscito a compensare la caduta delle produzioni destinate al mercato interno. In questo campo vi sono poi soggetti, come le Camere di Commercio all’estero, che con un finanziamento ridottissimo sono riuscite a moltiplicare le attività di internazionalizzazione rastrellando risorse e collaborazioni sui mercati locali. La riduzione del 50% dei fondi rischia di determinare la rottura di un equilibrio che finora è andato a tutto vantaggio del sistema delle imprese italiane. Anche in questo caso è necessario compiere azioni coerenti e sensate, evitando di fare passi inopportuni e difficilmente recuperabili, vista la forte concorrenza esistente nel campo del commercio internazionale.
La difesa degli interessi degli italiani all’estero è il nostro primo dovere, la ragione per cui siamo in Parlamento. Sia chiaro, tuttavia, che diciamo queste cose non per spirito corporativo, ma perché siamo profondamente convinti che per raggiungere lo scopo della rinascita dell’Italia, che la stessa finanziaria si propone, l’apporto degli italiani all’estero sia indispensabile.
Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta