Il consueto Rapporto annuale sugli italiani nel mondo, presentato dalla Fondazione Migrantes, con l’evidenza delle cifre dissolve alcuni luoghi comuni, conferma alcuni processi profondi che si svolgono da tempo e richiama con tutta evidenza alcune responsabilità.
Iniziamo dai luoghi comuni. Non è assolutamente vero che l’Italia sia a rischio di invasione da parte di coloro che attraversano mari e frontiere per cercare salvezza e futuro. La crisi sta riducendo sensibilmente, oltre ai livelli occupazionali degli italiani, anche l’attrattività del nostro sistema economico-sociale e le possibilità di assorbimento di migranti. Gli stranieri che s’insediano nel nostro territorio sono negli ultimi anni in diminuzione e il moltiplicarsi degli sbarchi hanno una natura quasi esclusivamente emergenziale. Quasi tutti quelli che arrivano sono diretti verso altri Paesi europei, dove spesso già risiedono parenti e conoscenti. Chi solleva e sfrutta questi timori, lo fa per speciose ragioni elettoralistiche e per spirito retrivo.
Il dato più evidente e certo è che l’emigrazione degli italiani continua a crescere di anno in anno e coinvolge ormai tutte le aree del Paese, non solo quelle di esodo storico. Quelli che partono sono ormai più di quelli che arrivano. Nel 2013 si sono trasferiti all’estero circa 95.000 connazionali, con un aumento di 15.000 persone in cifre assolute e del 16% in percentuale. Le fasce d’età prevalenti sono quelle tra i 18 e i 34 anni (36,2%) e quella tra i 35 e i 49 anni (26,8%), a conferma che la ricerca di lavoro è la molla fondamentale per l’espatrio. E stiamo parlando di cifre che hanno avuto una sanzione statistica, quindi certamente inferiori rispetto a quelle reali, dal momento che la mobilità temporanea di lavoro, soprattutto dei giovani diplomati e laureati, rappresenta la forma più diffusa di ricerca e di esperienza compiute all’estero. Questo tipo di mobilità di solito non assume rilevanza statistica.
Questi nuovi flussi hanno natura globale, nel senso che si dirigono verso diverse destinazioni, di vecchia tradizione migratoria come di nuova esplorazione. Quelli più consistenti, tuttavia, approdano nei Paesi europei, ad iniziare dal Regno Unito (non a caso quello di Londra è diventato il consolato più affollato del mondo!) per proseguire con la Germania, la Svizzera, la Francia e altri ancora.
Siamo dunque di fronte ad un fenomeno di proporzioni considerevoli e di carattere strutturale, non più congiunturale, destinato a durare un tempo non breve. In una fase di globalizzazione, l’internazionalizzazione delle forze di lavoro, soprattutto se qualificate, non è di per sé un fatto in pura perdita perché offre all’Italia una rete di supporto per il suo disperato bisogno di proiezione all’estero. Tuttavia, di fonte alla profondità dei processi non si può eludere una domanda di fondo: l’Italia – vale a dire il Governo, il Parlamento, la classe imprenditoriale, i sindacati, la rete cattolica, il sistema informativo e quant’altri – si sta preparando in modo adeguato a questa nuova e organica prospettiva di emigrazione? Parliamo prima di tutto di orientamenti politico-culturali e di opzioni etiche e di solidarietà sociale, oltre che di misure concrete di intervento. Sul primo piano, la crisi purtroppo sta appiattendo il dibattito politico sull’emergenza; il rischio reale, dunque, è quello di non avere una visione profonda come la situazione richiederebbe.
Anche sul piano delle misure di intervento, dando atto al Governo Renzi dell’attenzione che ha finora dimostrato verso gli italiani all’estero per alcune scelte di diffusa sensibilità (conferma della Circoscrizione Estero, rinnovo dei COMITES, riduzione dell’IMU per i pensionati italiani all’estero, Stati generali della lingua italiana, ecc.), non possiamo ignorare le contraddizioni che si aprono, ad esempio, nel momento in cui si riducono drasticamente i consolati, soprattutto in aree come quella europea dove si dirige il maggior numero di nuovi emigrati, proprio mentre diventano più impetuosi i flussi di esodo.
Nell’immediato, si tratta di cogliere ogni occasione per dare un riferimento agli italiani che hanno ripreso a partire, ad iniziare dall’imminente rinnovo dei COMITES. Questi organismi sono i primi interlocutori che i nuovi migranti incontrano al momento dell’arrivo e nella difficile fase della ricerca di lavoro e dell’insediamento. Altro che “enti inutili”, come scrive qualche emigrante di lusso su giornali votati alla critica permanente. Luoghi di solidarietà e di autotutela: questi sono e devono sempre di più diventare i COMITES per le vecchie e nuove comunità. Una ragione in più per mobilitarsi per la migliore riuscita di queste elezioni, che riconsegnano le scelte nelle mani dei cittadini e rivitalizzano strumenti di democrazia e di protezione oggi ancor più necessari rispetto al passato.
Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta