Dichiarazione dei deputati del PD eletti all’estero in margine alle prese di posizione ONU su migranti e diritti umani
Roma, 17 settembre 2009
“Abbandonati e respinti in violazione del diritto internazionale, senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni. In molti casi le autorità respingono questi migranti e li lasciano affrontare stenti e pericoli, se non la morte, come se stessero respingendo barche cariche di rifiuti pericolosi”.
Queste parole pronunciate nei giorni scorsi dall’Alto Commissario dei diritti umani dell’ONU, Navi Pillay, s’incrociano con le ripetute espressioni di allarme dell’Unione Europea contro le lesioni dei diritti dei migranti e spargono sale fresco sulle ferite sempre aperte dal così detto Decreto Sicurezza. Il solco che questo provvedimento ha tracciato nella società italiana è quello della tendenziale criminalizzazione della fasce deboli e, in particolare, degli immigrati. I problemi di ordine sociale dell’arrivo e dell’integrazione in Italia vengono declinati ormai in termini penali e di ordine pubblico. Prima ancora della lotta agli ingressi clandestini, è saltata la logica differenziale, sopravvissuta alla stessa Bossi-Fini, che portava a trattare in modo diverso gli immigrati regolari da quelli irregolari.
Non è polemica, sono fatti. Per i lungo soggiornanti, ad esempio, sono stati introdotti test, un’imposta di 200 euro per la richiesta di cittadinanza, che colpisce anche le persone di origine italiana, e numerosi obblighi di certificazione, oltre a una nuova tassa per il rinnovo del permesso di soggiorno. Si è esteso il numero dei casi di condanne, anche non definitive, che comportano la revoca del permesso di soggiorno, prescindendo dal sacrosanto principio di valutare le situazioni una per una. Altro caso, esploso in occasione della chiusura dell’anno scolastico, è quello dei minori stranieri non accompagnati (senza genitori presenti), che al diciottesimo anno di età rischiano di essere espulsi e quindi di interrompere il corso di studi, riconosciuto come diritto inviolabile dalla normativa internazionale.
L’introduzione del reato di immigrazione clandestina apre una fase di criminalizzazione della semplice presenza irregolare dello straniero, dissuaso a servirsi di prestazioni sociali che non si dovrebbero negare a nessun essere umano dal fatto che il Decreto pone a carico dei “pubblici ufficiali” e degli “incaricati di pubblico servizio” (sono milioni) l’obbligo di denuncia degli irregolari: una tendenziale caccia all’uomo.
Oltre ai diritti umani, in Italia le politiche antagonistiche verso i migranti hanno messo in discussione alcuni fondamentali diritti costituzionali. In base ad essi, le sanzioni penali dovrebbero colpire concrete azioni materiali, non una categoria di persone, come invece è previsto nel Decreto. L’obbligo di interruzione del procedimento penale in caso di espulsione adottata in via amministrativa, contrasta con il diritto dell’imputato di ottenere sempre e comunque una decisione di merito. La non retroattività della legge penale è messa in discussione dalla possibilità di perseguire permanentemente anche gli ingressi irregolari antecedenti alla nuova normativa. Senza contare l’abnorme prolungamento dei periodo di reclusione.
Si potrebbe continuare con molte altre esemplificazioni. Il punto di fondo è che, anche senza che ce lo dica l’ONU o l’UE, non possiamo rassegnarci a una deriva civile nella quale siano messi in discussione diritti umani e diritti costituzionali. Siamo il popolo che ha conosciuto l’affondamento delle navi degli emigranti e centinaia di migliaia di incidenti sul lavoro in Paesi stranieri; milioni di italiani sono stati clandestini e hanno subito xenofobia e razzismo; nel parlamento statunitense nei primi decenni del Novecento sono state presentate decine di proposte di legge miranti ad impedire l’immigrazione degli italiani; quasi tutti i nostri emigrati sono passati per la porta stretta dello sfruttamento sul lavoro e molti hanno vissuto discriminazioni nel percorso scolastico, nelle carriere, negli incarichi pubblici. Eppure, questo non ha ci ha impedito di diventare leali cittadini di altri Paesi e di dare un fondamentale contributo al loro sviluppo e alla loro modernizzazione.
I diritti sono stati la stella polare che ha guidato questo cammino, del quale un lungo tratto è ancora da fare. La seconda Conferenza nazionale dell’emigrazione, già nel 1988, metteva come primo punto il raggiungimento dei diritti civili e politici, compreso il voto in loco nei Paesi europei e in quelli extraeuropei. Un popolo come il nostro può accettare un regime di doppia verità? E, soprattutto, dopo la bruciante vaccinazione che abbiamo avuto come emigranti, possiamo accettare questa strisciante regressione democratica e civile, che mette in discussione diritti umani e diritti costituzionali, sottesa alla normativa e alle politiche sui migranti?
In molti luoghi della politica, della cultura e della società civile si stanno levando voci di allarme e di dissenso. I parlamentari eletti all’estero, per la loro provenienza e per le esperienze che obiettivamente incarnano, possono essere uno dei fulcri della reazione democratica alla presente deriva. E’ giusto superare per questo antagonismo pregiudiziale e banali concorrenzialità. Questo è il momento di cercare occasioni e luoghi di lavoro comune, a partire dalla difesa e dallo sviluppo dei diritti dei migranti.
I deputati del PD della Circoscrizione Estero: Gino Bucchino, Gianni Farina, Marco Fedi, Laura Garavini, Franco Narducci, Fabio Porta