Il futuro siamo noi!
La stampa internazionale dipinge l’Italia come un Paese vecchio e senza futuro: investire sull’Altra Italia potrebbe essere il segreto della possibile riscossa…
Ha destato molto scalpore, in Italia, il lungo articolo apparso sul “New York Times” qualche settimana fa, che descriveva il nostro Paese in maniera impietosa alla luce delle recenti statistiche europe e che ci collocavano in coda alla classifica dell’ottimismo e della gioia di vivere.
Gli italiani, scriveva l’autorevole quotidiano americano, sembrano aver perso quella “gioia di vivere” che tradizionalmente era una caratteristica del Paese, e questo in ragione dell’ancora lento sviluppo economico, dell’incertezza di futuro che affligge le giovani generazioni e della crisi di competitività delle piccole e medie imprese, anch’esse tradizionalmente simbolo della spinta e dell’innovazione “Made in Italy”.
Qualche giorno dopo a rincarare la dose era un altro simbolo della comunicazione mondiale, l’inglese “Times” che – all’indomani dell’ufficializzazione del sorpasso della Spagna sull’Italia in materia di PIL pro-capite – sottolineava i fattori di questa sorta di decadenza, dando enfasi alla crisi del sistema politico italiano, troppo ingessato ed incapace di determinare con decisione l’orientamento delle scelte dell’esecutivo, spesso preda dei ricatti incrociati di piccoli partiti quando non di pochi parlamentari…
Sarebbe facile rispondere a queste accuse, com’è stato fatto ampiamente in Italia, con una punta di sacro orgoglio nazionale rivendicando i successi del nostro Paese in questi anni, o le nostre incomparabili ricchezze artistico-culturali, magari indicando altrettanti fattori di crisi in altri importanti Paesi, a partire dalla stessa Inghilterra o dagli Stati Uniti.
Sarebbe facile ma semplicistico, anche perché la visione che si ha dall’esterno di una realtà, che a volte può apparire riduttiva e superficiale, è spesso – al contrario – molto più oggettiva e sincera di tante letture di chi vede le cose dall’interno.
Lo sappiamo bene noi, italiani che vivono all’estero, innamorati eternamente del nostro Paese ma anche giudici severi di contraddizioni e ambiguità che probabilmente individuiamo in maniera più disincantata e lucida di tanti nostri connazionali che vivono nella penisola.
Mesi fa un amico italiano, anch’egli residente in Brasile, mi fece leggere un altro articolo, pubblicato sul quotidiano spagnolo “El País”: descriveva l’Italia come il Paese più gerontocratico d’Europa, e non si riferiva solo alla nostra classe dirigente (la più vecchia del continente) ma anche al mondo dell’imprenditoria, alla cultura, alla televisione (quando manderemo in pensione i vari Pippo Baudo e Mike Buongiorno? ).
La vecchiaia è un valore e gli anziani sono una grande risorsa per l’Italia e per il mondo; il problema nasce però quando un Paese non riesce a rinnovarsi, a creare le condizioni perché si compia naturalmente e con la giusta frequenza il passaggio tra le generazioni.
Tutta questa discussione, questo dibattito sul futuro dell’Italia, ha rafforzato dentro di me una solida convinzione: siamo noi il futuro del nostro Paese! Mi riferisco ai milioni di italiani che vivono fuori dall’Italia, ma anche ai loro discendenti, vera linfa vitale di una nazione che non può contare su grandi materie prime o fonti di energia ma che ha un “petrolio” che nessuno ha, la grande comunità degli italiani all’estero, appunto.
E il Sudamerica è senza dubbio il maggiore giacimento a cielo aperto di tale risorsa, perché è qui che vivono i due terzi dell’Altra Italia, quella sulla quale un sistema politico ed economico intelligente e lungimirante dovrebbero scommettere, con scelte coraggiose di apertura e di integrazione, con investimenti mirati e ad ampio raggio, capaci di contrastare la stupida e masochista mania di chiusura dettata dal pregiudizio e dall’ignoranza.
Il giorno in cui il capitolo “Italiani all’estero” sarà trasferito dalla voce “spese” a quella “investimenti” assisteremo forse ad un’inversione di tendenza ed al recupero di quel primato italiano nel mondo del quale per anni abbiamo goduto, e non in ragione del linguaggio della forza e dell’arroganza, ma della nostra capacità unica di saperci integrare in Paesi lontani e diversi dal nostro, facendoci amare proprio per il nostro “essere italiani”, per la musica, la cultura, la gastronomia… I 50 milioni di ‘oriundi’ che vivono in Sudamerica rappresentano tutto ciò: sarebbe uno stupido peccato di miopia non rendersene conto; accorgersene domani, forse, potrebbe essere troppo tardi.