L’Italia di Draghi

“Perché dopo i governi giallo-verde e giallo-rosso si è arrivati al governo di tutti i partiti”

L’Italia di Draghi

Le alchimie della politica italiana non sono facilmente decifrabili da chi vive all’estero, spesso in Paesi retti da repubbliche presidenziali. In Italia infatti i governi nascono e muoiono in Parlamento e non nella cabina elettorale; è per questo che in 75 anni di Repubblica abbiamo già avuto 67 governi, una media non lontana da quella di uno all’anno. Pochi forse sanno che nessuna delle diciotto legislature che si sono succedute dal dopoguerra ad oggi ha dato vita ad un unico governo. Il secondo governo del leader dell’Ulivo Romano Prodi durò sì per una intera legislatura, ma in questo caso fu la legislatura a interrompersi prima del previsto, dopo soltanto due anni dalle elezioni; altra eccezione furono i due governi guidati dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi dal 2001 al 2006 (in questo caso la legislatura durò cinque anni ma i governi furono due anche se guidati dallo stesso Presidente del Consiglio).

Tutte le altre legislature, compreso questa, sono state caratterizzate dalla successione di tre, quattro o anche sei governi tra una elezione e un’altra. L’avvicendarsi dei governi solitamente era dovuto alla necessità di allargare la base che sosteneva gli esecutivi o alla necessità di modificare la composizione ministeriale in base alle richieste dei partiti. In questa legislatura, però, è successo qualcosa di decisamente diverso dal passato, e ciò in considerazione del “terremoto” elettorale del 2018 che per la prima volta ha spezzato il sostanziale bipolarismo degli ultimi venti anni tra centro-destra e centro-sinistra. Nelle ultime elezioni un terzo degli italiani votò a favore del “Movimento 5 Stelle”, un partito che non si è mai voluto riconoscere in nessuna delle due coalizioni che tradizionalmente si alternavano al governo, ponendosi anzi in alternativa a entrambi.

Dall’oggettiva impossibilità di dare vita ad un esecutivo sostenuto da una coalizione omogenea, dopo tre mesi dal voto nacque un governo grazie all’accordo tra i “5 Stelle” e la principale forza politica del centro-destra, la “Lega”. A guidarlo fu chiamata una personalità esterna ai partiti, Giuseppe Conte. L’esperienza “giallo-verde” non ebbe vita lunga poiché nell’agosto del 2019 il capo della Lega Matteo Salvini decise di fare mancare il proprio sostegno all’esecutivo. Quando tutti immaginavano un ritorno alle elezioni, l’ex Primo Ministro Matteo Renzi, spiazzando tutti, propose di dare vita ad una maggioranza inedita tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, due partiti che nella scorsa legislatura erano schierati su fronti opposti.

A guidare il nuovo esecutivo giallo-rosso rimase il Presidente Conte, che passerà forse alla storia per essere stato l’unico a governare con due maggioranze di colore diverso nel giro di soli tre anni. Anche questa esperienza si è interrotta prematuramente; in questo caso è stato Renzi, che nel frattempo era uscito dal PD dando vita ad una nuova formazione politica, “Italia Viva”, ad uscire dal governo, facendo precipitare l’Italia in un’ennesima crisi di governo. Dopo un disperato tentativo di risuscitare il governo uscente grazie al sostegno di un nuovo gruppo nato in Parlamento, il Presidente della Repubblica ha preso atto che non esistevano le condizioni per ricostituire la vecchia maggioranza.

Di fronte all’avanzare della pandemia, alle urgenze dalla campagna di vaccinazione e alla gestione dei progetti del “Recovery Fund” (i 209 miliardi di aiuto europeo alla ricostruzione dell’Italia), Mattarella ha rivolto un accorato appello a tutti i partiti per dare vita ad un governo di unità nazionale guidato da una personalità di alto profilo; ciò soprattutto per evitare la paralisi di alcuni mesi che nuove elezioni avrebbe comportato. Per questa sfida difficile ma necessaria è stato chiesto a Mario Draghi, già governatore della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea il compito di formare un governo sostenuto da una ampia coalizione. Al Parlamento riunito per conferirgli la “fiducia”, Draghi ha concluso con queste parole il suo discorso: “Oggi l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia”. Eccola, l’Italia di Draghi, alla quale tutti guardiamo con fiducia e speranza.

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