Porta, capolista del PD alla Camera in Sudamerica: il nuovo Parlamento dovra’ tornare con urgenza sulla situazione dei contrattisti

I passi in avanti fatti in questa legislatura non bastano per garantire una vera parità di diritti di questi lavoratori dai quali dipende la qualità dei servizi consolari alle nostre comunità

Non ci siamo limitati – noi deputati del PD eletti nella Circoscrizione Estero – alle schermaglie parlamentari di facciata, alle quali spesso si rassegna chi è all’opposizione, quando si è trattato di affrontare le molteplici questioni riguardanti i lavoratori assunti dalle strutture decentrate del Ministero degli Esteri.

Quella dei cosiddetti “contrattisti” è una situazione che si trascina da tempo e che si caratterizza per una privazione di diritti francamente intollerabile, soprattutto per un Paese come l’Italia che ambisce ad avere un’elevata cultura del lavoro.

Voglio ricordare l’approvazione della legge, presentata dal collega Marco Fedi, sull’inclusione di questi lavoratori nei processi formativi della rappresentanza (una norma acquisita sul piano formale, ma da concretizzare su quello sostanziale), così come il ripetuto impegno per l’esenzione per carichi di famiglia. A questo proposito, nella nuova legislatura, bisognerà certamente ritornare alla carica perché questo problema di parità sia risolto una volta per tutte e non a singhiozzo, anno per anno.

Se alcuni passi in avanti sono stati compiuti, quelli ancora da compiere tuttavia non sono pochi, nonostante le insistenti sollecitazioni che abbiamo fatto servendoci degli strumenti regolamentari che abbiamo avuto a disposizione e a fronte di un atteggiamento di resistenza e di chiusura duro a morire all’interno del MAE.

Dall’angolo visuale del Sud America, che meglio conosco, non si può far finta di ignorare, ad esempio, che questi lavoratori sono in genere costretti a ricorrere all’onerosa assistenza medica privata a fronte di un servizio pubblico che presenta notoriamente dei limiti.

Un’altra cosa che non si capisce è perché gli impiegati di ruolo e i diplomatici si vedono riconosciute le aggiunte di famiglia fino a 26 anni per i figli che frequentano l’università e i lavoratori a contratto, invece, se li vedono togliere quando i figli compiono diciotto anni. Eppure, come è noto, si tratta di persone che guadagnano molto, ma molto di meno rispetto a quelle più garantite della stessa amministrazione.

E qui siamo al punto dolente che l’Amministrazione sta sistematicamente eludendo, nonostante l’evidenza dei fatti. In Sud America, il combinato disposto dell’oscillazione dei cambi a seguito delle note vicende monetarie, che non risparmiano ormai nemmeno l’euro, e dell’inflazione, che galoppa in questi Paesi a livelli elevati, erode sistematicamente e pesantemente le retribuzioni. Io stesso ho in diverse occasioni richiamato governo e amministrazione a una maggiore attenzione e a provvedere ai giusti adeguamenti retributivi, ma l’Amministrazione o fa orecchi da mercante o, quando fa qualche passo avanti, lo fa con estremo ritardo.

Non c’è in ballo solo una questione di equità, ma di efficienza della stessa amministrazione, visto che il lavoro di queste persone è essenziale per rispondere in modo adeguato alla domanda di servizi della nostra comunità e metterli nelle condizioni migliori per operare è interesse di tutti, non di una semplice categoria di persone.

Per questo, se ritornerò in Parlamento uno dei miei primi impegni sarà quello di risollevare queste questioni, con la certezza che, come in passato, gli altri colleghi del PD non saranno da meno. Con la speranza che questa volta, a livello di governo, ci saranno interlocutori più attenti e sensibili ai problemi di chi, con il proprio lavoro, concorre al buo nome del nostro Paese.

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