Porta (PD): in Italia e’ debole e bloccato il sistema di tutela delle nuove mobilita’ e dei nuovi soggetti migratori

Una interrogazione del parlamentare eletto in America meridionale sulla insufficienza in Italia degli strumenti di tutela dei diritti delle persone che si recano all’estero alla ricerca di lavoro o comunque per fare un’esperienza di vita

Da oramai alcuni anni, ogni anno decine di migliaia di giovani italiani decidono di “emigrare” in cerca di un lavoro e di un futuro più stabile e sereno; un futuro migliore, presumono, di quello che riserverebbe loro l’Italia. Il rapporto “Italiani nel mondo” appena pubblicato dalla Fondazione Migrantes documenta che  nel corso del 2013 si sono trasferiti all’estero 94.126 italiani. Nel 2012 erano stati 78.941, una variazione in un anno del 16,1%. Al 1° gennaio del 2014 risultavano iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) 4.482.115 cittadini italiani. L’aumento in valore assoluto rispetto al 2013 è di circa 141.000 iscrizioni. Giova inoltre ricordare che una gran parte dei giovani che emigrano non si iscrivono, per tutta una serie di ragioni, immediatamente all’AIRE e molti di essi non lo fanno affatto. La recessione economica e la disoccupazione sono le reali cause che spingono gli italiani a partire di nuovo. Dal 2012 al 2013 quindi si registra una crescita generale delle emigrazioni dall’Italia all’estero, una tendenza questa che sembra destinata ad aumentare ed è sottodimensionata nelle cifre rispetto alla reale dinamica ed entità delle partenze dall’Italia. La nuova emigrazione si muove in buona parte in Europa ma anche Argentina, Brasile, Stati Uniti, Australia, Canada, Venezuela, Cina, sono mete ambite. Ad espatriare sono soprattutto i più giovani e moderne figure di migranti: ricercatori, insegnanti, laureati e diplomati, imprenditori, artigiani qualificati, studenti. Cercano tutti un lavoro, un’attività stabile e gratificante, il riconoscimento delle loro competenze e potenzialità. Pochi sono quelli informati, o che vengono informati, adeguatamente sul sistema di tutela previdenziale, fiscale, sanitaria, assistenziale che l’Italia ha creato (o non ha creato) con la rete dei Paesi nei quali si recano. Nella strategia di internazionalizzazione del Paese, a causa del drastico ridimensionamento delle  cosiddette politiche migratorie che da alcuni anni si sta determinando, rischiano di offuscarsi le potenzialità legate alla presenza degli italiani nel mondo e tende a restringersi la rete di relazioni che essa ha assicurato nel tempo, con grave danno del Paese soprattutto in questo passaggio di gravi difficoltà economiche e sociali. Nella mia interrogazione ai Ministeri degli Affari Esteri, del Lavoro e dell’Economia, illustro e commento il nuovo fenomeno migratorio e chiedo al Governo di spiegare quale è la politica messa in campo per tutelare i diritti dei nostri connazionali che emigrano di nuovo (in particolare nei Paesi  extracomunitari dove mancano quelle regole e quel coordinamento dei diritti di sicurezza sociale che invece sono una caratteristica consolidata della UE dove pensioni e sanità, ad esempio, sono garantiti ai lavoratori che si spostano da un Paese membro all’altro) e quali sono gli strumenti che si intendono adottare (accordi, convenzioni, intese e trattati internazionali) per salvaguardare diritti e stabilire doveri in ambito sociale, previdenziale, sanitario e fiscale.  Denuncio altresì il fatto che oltre a limitare le prospettive di internazionalizzazione dell’Italia, la sensibile riduzione dell’intervento pubblico e il totale abbandono della gestione delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale (nella sua accezione più vasta e quindi previdenza, sanità, assistenza e fisco) non consente di esercitare una doverosa tutela dei diritti e un rigoroso controllo dei doveri socio-previdenziali delle nuove migrazioni di cittadini i quali si recano a lavorare all’ estero, anche per lunghi periodi, dove versano i contributi e pagano le tasse, e i quali rischiano poi, a causa delle convenzioni oramai obsolete o inesistenti, di non essere adeguatamente tutelati negli ambiti previdenziale, fiscale e sanitario. Un esempio concreto: se si entra nel sito del Ministero della Sanità e si “clicca” sul riquadro delle informazioni relative all’assistenza sanitaria fornita dall’Italia nel caso si volesse soggiornare nei Paesi extracomunitari, la seguente è la risposta che viene data nella maggior parte dei casi: “Se ti rechi nel Paese selezionato per temporaneo soggiorno (turismo, motivi personali, etc.), ricordati che non è prevista alcuna forma di tutela. E’ esclusa anche la copertura delle prestazioni di pronto soccorso, quindi ti consigliamo di provvedere – prima della partenza – alla stipula di una assicurazione sanitaria privata”. Rilevo  inoltre nell’interrogazione che le convenzioni di sicurezza sociale – che attengono ai diritti socio-previdenziali dei lavoratori – sono state stipulate, tranne alcune eccezioni, negli anni settanta e ottanta, come ad esempio quella con l’Argentina che risale al 1984, quella con il Brasile al 1977, con l’Uruguay al 1985, con il Venezuela al 1991, con gli USA al 1978, con il Canada al 1979, con la ex Jugoslavia addirittura al 1961 e sono evidentemente convenzioni obsolete nello spirito, nei contenuti e nella forma che non possono più tutelare adeguatamente diritti e interessi o doveri delle nuove migrazioni perché non sono state adeguate alle evoluzioni e agli aggiornamenti, talvolta radicali, delle legislazioni e dei sistemi previdenziali dei Paesi contraenti. Indico perciò che è primario interesse nazionale fare in modo che non si indeboliscano i rapporti con la diffusa e articolata presenza degli italiani nel mondo e che vengano a mancare in un momento di seria difficoltà gli apporti derivanti dalla nostra diffusa diaspora; inoltre sottolineo che se da una parte è ineludibile dovere etico riconoscere alla nostra vecchia emigrazione il contributo storico dato in momenti difficili al Paese, dall’altra non si possono ignorare i compiti di tutela e di solidarietà verso coloro che sono costretti nuovamente a lasciare il Paese perché in seria difficoltà, a partire proprio dalla tutela previdenziale e sanitaria.

Impegno quindi il Governo a riprendere i negoziati, sospesi da troppi anni, per la stipula e il rinnovo degli accordi bilaterali di sicurezza sociale e di assistenza sanitaria con i Paesi di emigrazione italiana in America latina, in America centrosettentrionale e nel resto del mondo, al fine di completare il quadro del sistema di tutela internazionale dei diritti previdenziali dei lavoratori migranti e soprattutto di garantire la revisione degli accordi già stipulati ma divenuti oramai inadeguati e superati dai recenti aggiornamenti e dall’evoluzione normativa delle legislazioni dei Paesi contraenti. Tutto ciò alla luce soprattutto dell’emergere dei nuovi fenomeni migratori dall’Italia, delle nuove forme di mobilità e dei nuovi protagonisti i quali si aspettano dall’Italia una rete di protezione sociale e assistenziale più ampia ed efficiente nelle sue tutele.

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