Porta: sulla cittadinanza opportuno il decreto sui termini amministrativi, ma servono anche soluzioni operative

Il governo ha stabilito un termine preciso per il riconoscimento della cittadinanza ius sanguinis. Adesso tradurre e attuare la decisione con strumenti e risorse congrui e adeguati

PASSAPORTE-ITALIANO

“Il Consiglio dei Ministri, spostando a 730 giorni (due anni) il termine per il riconoscimento della cittadinanza, prima fissato in 240 giorni, ha semplicemente preso atto di una realtà ormai cristallizzata in molte circoscrizioni consolari, nelle quali si richiedono anni di attesa per la sola prenotazione e parecchi altri anni  per la conclusione del procedimento. In più resta sempre di 90 giorni il termine per gli atti amministrativi ordinari, tra i quali vi sono le legalizzazioni dei documenti necessari per la richiesta di acquisizione della cittadinanza. Anche se quando si parla di efficienza della macchina burocratica italiana non si può non essere inondati di tristezza, è bene che il decreto sia stato fatto. Almeno, i cittadini hanno un termine di legge da far valere, sul piano amministrativo o su quello giurisdizionale, nel caso, quasi certo, di prolungamento delle pratiche oltre il termine fissato.

Voglio ricordare che il caso della cittadinanza è uno dei più gravi elementi di svuotamento del diritto di cittadinanza degli italiani residenti all’estero, un diritto sancito dalle leggi, riaffermato periodicamente a parole, ma misconosciuto nei fatti. Io stesso ho presentato in diverse occasioni atti parlamentari rivolti al Governo (ad esempio, un’interpellanza urgente che risale al luglio 2011) in cui ho documentato la drammaticità della situazione, soprattutto in Brasile, e richiesto interventi straordinari volti a riassorbire il pregresso. Compreso quello relativo alle richieste dei discendenti degli abitanti dell’ex impero austro-ungarico, giacente presso il Ministero dell’Interno e smaltito dopo molti anni solo al 50%. In quelle iniziative, ho segnalato che un numero sempre crescente di persone, dotate di risorse finanziarie adeguate, si rivolge al giudice per vedere esaudito il suo diritto, con la conseguenza che l’amministrazione italiana continua a collezionare condanne, per altro onerose. Dietro lo spostamento dei termini naturalmente c’è anche questa preoccupazione di frenare il ricorso ai giudici e credo sia giusto dire che quando il Governo ha un atteggiamento aperto verso le sollecitazioni parlamentari qualche volta aggiusta le cose e ci guadagna, anche in termini finanziari.

Al di là degli aspetti procedurali, comunque, resta la situazione reale. E la sostanza è che per ottenere un appuntamento con un ufficio consolare spesso occorrono degli anni, per vedere il compimento di una pratica spesso di anni ce ne vogliono cinque-sei, nel solo Brasile attendono tra 150.000 e 200.000 domande inevase, presso il Ministero dell’Interno giacciono ancora 25.000 domande di discendenti da persone ex austro-ungariche. Occorrono soluzioni straordinarie, sia nella destinazione del personale, sia nell’organizzazione dei servizi nelle aree in emergenza, sia nel reperimento delle risorse. Mi propongo a breve di presentare proposte normative che possano aiutare a trovare una strada percorribile anche in presenza delle attuali difficoltà, ma intanto non ci si rassegni a salvarsi l’anima con pur opportuni decreti procedurali, perché è tempo che ognuno si assuma concrete responsabilità.

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