Perché la politica non è più il luogo del dialogo ma quello dello scontro

Cosa c’è all’origine di quella che possiamo anche definire una deriva della politica, che sempre meno è l’arte di governare la “Polis” e sempre più il ring dove si contrappongono idee e valori spesso inconciliabili tra di loro? Secondo la maggior parte degli osservatori la principale causa risiederebbe nella graduale e sempre più forte semplificazione del dibattito politico causata dall’irruzione sulla scena dei cosiddetti social media: Facebook e Whatsapp, in particolare, sono diventati strumenti per lo scambio di attacchi e la moltiplicazione di slogan e insulti, spesso a base di Fake News costruite ad arte. In questi social vince chi la spara più grossa, chi urla più forte; sono loro il maggior numero di likes. Il primo a cogliere questa tendenza fu forse proprio lo scrittore, filosofo e semiologo italiano Umberto Eco, con la famosa metafora del vecchio bar di paese, dove alle affermazioni strampalate e fuori luogo di qualcuno si rispondeva con un bonario scappellotto per farlo tacere riportandolo alla realtà; oggi invece, sosteneva Eco, la “rete” mette chiunque in condizione di sparare qualsiasi sentenza o giudizio, al di fuori di qualsiasi contraddittorio e spesso in assenza di riscontri di carattere oggettivo rispetto ad accuse e affermazioni.
Per chi, come me, ha coltivato fin da ragazzo una sana passione per la politica e per l’arte dell’incontro e del dialogo, rispettando gli avversari e le tesi contrapposte alle proprie, è sempre più difficile accettare questo continuo ‘derby’ calcistico tra Palmeiras e Corinthians, Fluminense e Flamengo. No, la politica non può basarsi sulla delegittimazione dell’avversario e la costruzione di una realtà parallela a sostegno delle tesi di una parte contro l’altra; il sale della democrazia è costituito dal rispetto dell’avversario politico e dal continuo e faticoso confronto tra posizioni a volte apparentemente inconciliabili, alla ricerca di punti di equilibrio e mediazione. Fuori da tutto ciò c’è la dittatura, o la sua anticamera, la democratura, come anche dalle colonne di questa rivista abbiamo voluto definire i regimi di alcuni Paesi, democratici formalmente ma sostanzialmente autoritari.
La politica non può basarsi sulla delegittimazione dell’avversario, ma sul dialogo e sul rispetto
Il rimedio a tale piano inclinato, che ci porterebbe inevitabilmente verso uno scontro che dalla politica si trasferirebbe al piano sociale se non addirittura amicale e familiare, è dato dalla riscoperta dei valori fondanti della convivenza pacifica e quindi della democrazia. Quando qualche anno fa a San Paolo abbiamo dati vita con alcuni amici ad una scuola di formazione politica, ribattezzata non a caso “POLIS”, lo abbiamo fatto proprio con questo spirito e questa finalità: restituire alla politica la sua centralità riportandola al significato originale di luogo di confronto e dibattito, anche se acceso, tra posizioni diverse e in alcuni casi opposte; all’insegna della tolleranza e del rispetto, contro ogni forma di negazionismo e delegittimazione. Nonostante ciò, il mio tradizionale ottimismo mi fa pensare che dopo l’ubriacatura populista e demagogica degli ultimi anni, la politica tornerà a rispondere con saggezza ed equilibrio alle istanze dei cittadini, rispondendo alla sua finalità che è poi quella di costruire il bene comune.
